Alla Gdc, skater con tute aderenti nere tempestate di sensori eseguivano acrobazie su una piccola rampa. Persone con il pass dell’evento al collo gironzolavano indossando... Leggi
Un giorno della primavera scorsa ho preso l’autobus per il Moscone center, a San Francisco, dove quasi trentamila persone erano riunite per l’annuale Game developers conference , il raduno degli sviluppatori di videogiochi a cui partecipavo da giornalista. Avevo trascorso i mesi precedenti in congedo di maternità ed ero contenta di tornare al lavoro, di uscire temporaneamente dalla sfera domestica. Partecipare di nuovo alla vita pubblica mi sembrava incredibile, quasi un sogno psichedelico.
Quando ho pensato alle potenzialità degli npc creati da modelli linguistici di grandi dimensioni , ho immaginato storie automatizzate, in cui ogni oggetto e personaggio ha una sua personalità: orchi gentili, venditori chiacchieroni, piante che parlano. La realtà è più banale. I personaggi non giocanti “possono parlare al giocatore, tra loro o con se stessi, ma devono farlo senza esitare, senza ripetersi né deviare dalla traccia narrativa”.
Una chat online è diversa da una conversazione tra persone e tende ad avere un suo flusso. Può essere cacofonica – quando i partecipanti si lanciano a vicenda raffiche di testi brevi – o totalmente asincrona. La posta in gioco di solito è bassa e le opportunità di partecipare sono moltissime. Si può chattare attraverso un’app d’incontri, videogiochi, videochiamate, software di scrittura e così via, per non parlare di WhatsApp o iMessage.
Con i chatbot di oggi, le persone non parlano veramente ma suggeriscono. In questo contesto è usato il termineper indicare le sollecitazioni che inducono il software a produrre risultati specifici. Nei documenti della OpenAi c’è una pagina sul “modo migliore per produrre risposte”, per esempio evitando le negazioni e aggiungendo dettagli su “contesto, risultato desiderato, lunghezza, formato, stile” e tono della risposta.
Il ristorante sembrava più o meno lo stesso, ma c’erano più schermi. La ciotola d’insalata fa parte delle cucine di tutto il mondo, ma nella cultura del pranzo aziendale implica anche un menù combinato ridotto agli elementi essenziali e c’erano persone con il pass della conferenza che scorrevano tablet per scegliere proteine, salse e condimenti.
Portando con me la mia insalata, ho trovato una panchina in una piazza vicino al Moscone center. C’erano persone appoggiate all’edificio che fumavano sigarette vere o riunite in piccoli gruppi a sbuffare fumo elettronico. L’aria era profumata, inquinata e suggestiva, e il mio viso si scaldava al sole. Ho preso una strisciolina di jicama, nostalgica e felice, ricordando i pranzi della mia giovinezza.
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