La narrazione post-coloniale è molto bella, ma porta più guai che benefici
: i militari ribelli hanno tempo fino a domenica per dimettersi o affrontare un possibile intervento militare. Dal canto suo, la junta che ha destituito il democraticamente eletto presidente Mohamed Bazoum non sembra voler cedere e ha minacciato l’Occidente e i paesi vicini, suggerendo come un qualunque intervento verrebbe considerato come una dichiarazione di guerra. Secondo gli esperti, se all’ultimatum facessero seguito i fatti ci si troverebbe davanti ad uno degli scenari seguenti.
Il secondo scenario, non così estremo ma pur sempre non auspicabile, sostiene invece che i paesi che fino ad ora si sono schierati con i golpisti non dispongano di forze armate in grado di raggiungere il Niger in tempo utile. Il Burkina Faso è impegnato in una guerra intestina che infiamma quasi due terzi del suo territorio, mentre il Mali disporrebbe di un solo un aereo da trasporto.
La ragione di questo investimento è semplice: il Pentagono ritiene da diverso tempo che la partnership strategica con le forze speciali del Niger sia la chiave per contrastare l’estremismo nel continente. Ma sono molti gli analisti che ritengono come l’enorme attenzione all’antiterrorismo sia parte del problema.
Probabilmente conscia di aver contribuito al problema, l’amministrazione americana cerca oggi di esercitare la massima cautela. Il Dipartimento di Stato non ha ancora definito l’operazione militare come un colpo di stato, sostenendo che c'è ancora spazio per la diplomazia per riportare Bazoum al comando, e segnalando la sua contrarietà a ogni opzione che possa provocare un inasprimento del conflitto, sebbene consideri un intervento futuro come possibile.
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