I complotti, diceva il presidente, avvengono. Ma allora Meloni dovrebbe essere conseguente, e fare la riforma. A meno che le sue minacce non fossero solo banal…
. Ero a casa sua quando la voce giunse all’orecchio di Francesco Cossiga. Il presidente emerito della Repubblica si fece chiamare Mastella e, dopo aver cercato inutilmente di scoraggiarlo dall’assumere tale incarico, rassegnato, scandì: “Però, Clemente, una sola cosa non ti azzardare a fare: una riforma seria della Giustizia”. Pausa. Mastella, evidentemente, gli chiese perché. “Perché sennò ti arrestano”, scandì Cossiga.
Clemente Mastella divenne ministro della Giustizia, prospettò una riforma seria dell’ordinamento giudiziario, furono incriminati sia lui sia la moglie, il governo Prodi cadde, anni dopo Clemente Mastella e la moglie furono prosciolti. Questo per dire che non è poi così assurdo ritenere che la parte più politicizzate e sindacalizzata della magistratura usi le inchieste per scoraggiare il decisore politico dal metter mano alla materia giudiziaria. Non basta questo, tuttavia, per comprendere il senso dell’uscita di.
A leggere i retroscena dei giornali, sembra invece che Giorgia Meloni sia pronta a sacrificare quantomeno la Santanchè, oggettivamente poco difendibile, e lasciare che la polvere seppellisca in un cassetto di via Arenula la decantata separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. Se finirà così, aver soffiato sul fuoco dell’eterno conflitto tra politica e magistratura si sarà rivelato non solo inutile, ma oggettivamente dannoso.
I “complotti”, direbbe Cossiga, in questa materia avvengono. Ma c’è da credere che denunciarli per poi subirne gli intenti secondo il presidente emerito della Repubblica sarebbe stato il segno della peggiore colpa attribuibile a un leader politico con responsabilità di governo: il velleitarismo.
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