A Caltanissetta, i migranti bruciano materassi, salgono sui tetti e assaltano gli...
Materiale incendiato, sassaiola contro le forze dell’ordine, protesta sul tetto. Cambiano i luoghi, ma il metodo è sempre quello: mettere a ferro e a fuoco i Cpr, Centri di permanenza per i rimpatri, in cui i migranti non aventi diritto a restare in Italia sono trattenuti in attesa di essere riportati in patria. L’obiettivo è procrastinare la partenza se non, addirittura, scongiurarla almeno nell’imminenza.
«In questa, come in tutte le altre rivolte che spesso e volentieri vengono messe in atto per tentare di scongiurare il rimpatrio, c’è solo da avere paura – dice un poliziotto -. Abbiamo le mani legate, per cui non possiamo reagire più di tanto, ma restare passivi vuole anche dire mettere in conto che stiamo rischiando la pelle. Gli animi dei migranti ogni volta sono esagitati.
Questa gente non solo non vuole rimpatriare, ma non accetta di essere trattenuta nei Cpr. Assistiamo tante volte a risse fra migranti, alla devastazione della struttura, che poi deve essere ristrutturata con dispendio economico. E noi possiamo solo tentare di sedare gli animi». «La più grossa difficoltà – dice Francesco Coco, segretario nazionale Sap – è che siamo pochi. Mancano 10mila uomini nelle forze dell’ordine, è una carenza patologica, e in province come Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Agrigento, ecc... in cui insistono centri per i migranti, il personale utilizzato per fronteggiare l’immigrazione irregolare lo sottraiamo al controllo del territorio e al contrasto della criminalità organizzata».
Quando affondano creano danni ambientali e ai pescatori, impigliandosi nelle reti. Una corretta gestione dell’accoglienza deve tenere conto anche di questi aspetti».
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